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Daniele Sepe: «Nel mio nuovo disco parlo di cose serie, ma con umorismo»

daniele sepeIl partenopeo Daniele Sepe è tra i musicisti di più alto livello, nell’ambito della musica “impegnata” (e anche, perché no, d’avanguardia), anche per la vena satirico/ironica, nonché per la capacità –più unica che rara- di mettere insieme gli stili più disparati, dal jazz al reggae, dalla rock alla taranta. Walter De Stradis lo ha intervistato nel corso de “I Viaggi di Gulliver”, programma radiofonico che va in onda ogni lunedì alle 21 su Radio Potenza Centrale.

Il tuo nuovo album s’intitola “Capitan Capitone & I Fratelli della Costa” e mi pare di capire che ci sia davvero una barca per lo mezzo.

C’è una barca perché la maggior parte degli artisti che hanno partecipato a questo disco -che sono sessanta e sono tutti amici- sono saliti, chi più chi meno, sul mio magico gommone di cinque metri. E là sono nate, sono state scritte e pensate, le canzoni. Ma questo è un gioco, ovviamente, la cosa importante è che questo nasce dopo che, a luglio dell’anno scorso, io sono stato chiamato da degli operai che erano stati licenziati per motivi politici dalla Fiat di Pomigliano, e che mi chiesero di organizzare un concerto a Piazza Dante per rimpinguare la loro cassa di resistenza, per pagare le spese legali del processo. Ho fatto un appello su Facebook e hanno risposto in tantissimi, quelli che poi ci sono nel disco. E’ diventato un collettivo, un movimento, un fattapposta. Non so come chiamarlo.

Alcuni l’hanno definito “New-politan Power”.

Ognuno ci mette quello che vuole, io gradisco di più “Fratelli della Costa”.

Però il disco sembra fotografare molto bene la nuova scena napoletana. E’ ricchissimo di idee, di suoni e anche di personaggi. Che momento vive la scena musicale partenopea?

Se ti piace questo disco vuol dire che vive un bel momento. Io penso di sì, ci sono un sacco di differenze, di varietà, di proposte, di linguaggi. E sono tutte freschissimi: da Gnut, che scrive strepitose canzoni sentimentali, ai Foja, a Colella a Tartaglia; insomma, mi sembra che ci siano un sacco di cose che vale la pena di ascoltare.

Il brano “Le Range Fellon”, per esempio, è anche in tema con quello che sta succedendo (le questioni ambientali – ndr)

E’ la sorpresa del tutto il disco, poiché per un mese è rimasto inchiodato al primo posto in classifica su Spotify. Tieni conto che questo disco è interamente autoprodotto e non ha uno straccio di ufficio stampa, quindi vuol dire che quel brano alla gente piace.

Mi pare di notare un po’ meno satira e un po’ più di umorismo in questo lavoro.

Embè, ma perché ci dobbiamo divertire, qua facciamo anzianotti e che dobbiamo fare, la brutta vecchiaia? E quindi ci vogliono molte “Penelopi”, “ranci felloni”, e molte cose con le quali, come dice il pezzo di Gino Fastidio, “Ce n’amma verè bene”. Molti brani del disco in realtà parlano di cose serie, ma questo non comporta essere necessariamente pedanti e pallosi. Mi ricordo diversi film in cui cose serie venivano dette con leggerezza, da “Giù la Testa” di Sergio Leone a “L’Armata Branca Leone” di Monicelli.

Come lo definiresti questo disco? Un lavoro “concettuale” o magari un “work in progress” che continuerà dal vivo?

Eh, io ho smesso di prevedere il futuro da molto tempo, almeno da quando è caduto il muro di Berlino! Di sicuro è un album “concept”, ha moltissime mani con i testi scritti in maniera collettiva. Il legame è sicuramente il mare, per gente che abita in una città di mare, e molto spesso molti se ne dimenticano, anche noi napoletani; coma cantava il buon Pino “E il mare il mare sta sempe là, tutto spuorco chieno ‘e munezza”. Quindi questo mio “barcaccio” porta a bordo molti amici che devono superare molte traversie per arrivare a una ricompensa, che ancora non sappiamo qual è. Però andiamo avanti.

Come dicevamo, sei un autore di satira, hai mai avuto dei problemi?

Posso parlare francamente? A faccia do cazz! E’ normale che ho avuto problemi! Qualche anno fa ho fatto un album che si chiama “Fessbuk” in cui non le mandavo a dire, e mi hanno messo KO per almeno un paio d’anni in cui non ho potuto fare live, non ho potuto fare niente. Ma come vedi, uno può anche risorgere. L’Italia, in generale, ha il problema che la cultura, tra virgolette, è nel duopolio Mondadori-De Benedetti, tutto ruota intorno a editoria, televisioni, etc. e questa cosa ha formato un bel po’ di gente che ormai si è un po’ disabituata a usare il cervello. E, ovviamente, essere al di fuori, essere anticonformista, ti può creare dei problemi.

Walter De Stradis


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