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Intervista con Fulvio Caporale: “Trivigno, la mia Piccola Napoli”

fulvio cBarba bianca e camicia a quadri rossi, ci riceve in un angolo della sua casa, riscaldato da un camino. Dalla finestra s’intravede uno scorcio mozzafiato del borgo antico di Trivigno, il paese in cui è nato e nel quale è voluto tornare a tutti i costi. Poeta, scrittore e musicista (suoi alcuni brani del celebre “crooner” italiano Nicola Arigliano), Fulvio Caporale, tra le altre cose, è autore de “I giardini d’Alhambra”, brano cantato da I Baraonna (gruppo di cui fanno parte i suoi figli), vincitore del premio della critica a Sanremo, nel 1994.

Maestro, recentemente lei ha presentato un brano inedito -“Luna Saracena”- a un gemellaggio “Italia-USA”, “Two countries, one heart”, organizzato dal Conservatorio di Musica “Pollini” di Padova.

Il brano, scritto diversi anni fa, era stato messo da parte, in attesa di un momento buono come questo. Ma la cosa più interessante di questa esperienza è che una città come Padova, di cultura e di amministrazione leghista, ha deciso che a rappresentare l’Italia doveva essere la canzone napoletana. Un riconoscimento eccezionale! Fin quando una cosa del genere succede a Bari, o a Salerno, è normale, ma che accada a Padova, beh, io la vedo come una bella apertura al Sud.

Lei ha scritto molto sul tema del brigantaggio. Che ne pensa del movimento dei “Neo Borbonici”: nostalgici e basta?

La cosa migliore di questo movimento è il Meridionalismo, di cui io mi sento parte. Detto questo, non ho nessuna nostalgia del regno Borbonico, anche se sono pronto a difenderlo da alcune accuse ingiuste e da alcune falsità che vengono dette a suo riguardo, a proposito di Francesco II e dell’ultima fase del regno. Io sono un meridionalista, e quindi metto al centro dell’interesse il Meridione, contro le falsità di un Risorgimento che non è mai esistito, così come ce l’hanno presentato. Garibaldi era un mercante di schiavi. Era l’eroe dei “tre” mondi, perché c’era anche l’Africa, dove lui andava a rubare, a prelevare povera gente e a stiparla nelle stive di navi dell’epoca, per poi venderla e deportarla come schiavi in America. Per non parlare dei Massoni, che hanno favorito la conquista del Sud. Questo era un grande stato di livello mondiale, la terza potenza europea. Altrimenti, per quale altro motivo Garibaldi sarebbe stato assistito dalle navi inglesi!? Sul piano marittimo e navale noi stavamo superando la grande e storica flotta inglese. E quindi costoro hanno fatto tutto quanto in loro potere, approfittando di alcune contingenze che non sto qui a rievocare, per far fuori il Sud. E ci sono riusciti. Ripeto, il Sud, all’epoca, era uno degli stati più avanzati e civili d’Europa. Oggi si parla tanto d’immondizia a Napoli, ma la prima raccolta di immondizia –in Europa- è stata fatta a Napoli. La Grande Napoli ha un primato cultuale che nessuna città italiana si può sognare. Eppure si continua a parlare male di tutto questo.

Fa bene il sindaco De Magistris a querelare il conduttore tv Gilletti (che avrebbe parlato di una città sporca e “indecorosa” – ndr)?

Assolutamente sì. Di Gilletti facciamo male anche a parlarne, perché lui solo questo voleva: provocare un grande scandalo che gli desse comunque visibilità.

Tornando al Neo-Borbonismo, stava dicendo che comunque non ha molto senso?

No, non ne ha. Ha senso riprendere la coscienza della nostra storia, di quello che siamo stati. I Lucani passano per “briganti”, ma quando mai! Quelli difendevano casa loro, le loro proprietà, le loro famiglie. Sì, certo, ai margini qualche “brigante” c’era pure, ma il grandissimo movimento di protesta, dopo Garibaldi e dopo l’Unità d’Italia, è stato fatto da gente che si batteva per la propria terra, gente che ha avuto l’orgoglio di decidere di andarsene, piuttosto che essere schiavi e soggetti ai Savoia. Nascono così l’America, il Sud America, grandi continenti che hanno avuto un apporto straordinario da questi lucani, da questi meridionali, che pur di non diventare colonizzati, hanno dato il loro contributo ad altre grandissime civiltà.

E oggi in Basilicata cosa si può recuperare di quello spirito?

Tutto. Tutto si può recuperare. Ma dovrebbe esistere un’altra classe dirigente. Le faccio un esempio: io vivo in un paese in estinzione, Trivigno, e nel mio piccolo ho tentato di dare un contributo. Ho fondato un giornale che si vendeva pure a Napoli, ho creato un coro col quale abbiamo cantato in tutta Italia, ho tentato di fare un piccolo museo, visto che colleziono libri, manifesti e antichità. Volevo dimostrare che quando c’è amore per la propria terra, le cose si possono fare anche senza cercare soldi. Io ho fatto tutto, senza chiedere niente a nessuno.

Si sente una specie di brigante moderno?

Difatti io vengo chiamato “il Brigante”…

A proposito del famoso inno “Brigante se more” di Eugenio Bennato, c’è chi –anche qui in Basilicata- accusa l’autore di averlo “copiato” da un vero canto dei briganti. Lei che ne pensa?

Lo escludo nel modo più assoluto. Io ho fatto delle ricerche sui Briganti, come meridionalista e come musicista, e non c’è assolutamente alcun canto di riferimento. C’è piuttosto, soprattutto a Napoli –e mi dispiace dirlo- l’usanza di rubare le canzoni agli altri. E’ largamente diffusa l’usanza di lanciare qualcuno e di fargli mettere la firma alle canzoni di altri. E’ stato fatto con me, è stato fatto con i Baraonna, e lo fanno regolarmente con tutti. C’è un esempio clamoroso: Ugo Calise, grandissimo cantante e chitarrista, è autore di parole e musica di “Nun è peccato”, ma di quella canzone, gli è rimasto un ventiquattresimo!

Lei però è autore riconosciuto e certificato di alcune canzoni cantate da Nicola Arigliano, tra cui “Napelicchie”.

“Napelicchie” è Trivigno. Quello è il suo soprannome e fa riferimento a una Trivigno che era tutta un’altra cosa. Anche in questo, qualcuno mi accusa di essere un nostalgico, ma io non ho nostalgia della Trivigno borbonica, io ho nostalgia della Trivigno dove c’erano trecento aziende che lavoravano. Trivigno si chiamava “Napelicchie” perché rassomigliava a Napoli, come intensità di rapporti e di commerci. I commercianti arrivavano in tutte le regioni del meridione, dopo esser partiti la mattina da Trivigno. Di questo ho nostalgia, e ho voluto scrivere quella canzone che il mio amico Nicola –che conoscevo da sempre- ha voluto cantare, rendendomi questo grande onore. Il disco che la conteneva (“My name is Pasquale!” – ndr) fu registrato live a Terni, mi pare, e lì quella sera c’era mezza Trivigno. Fu un’esperienza bellissima. Quel disco ha venduto 380mila copie in tutto il mondo.

Tra l’altro pare che lei sia l’unico autore vivente rimasto, ad aver scritto per Arigliano.

Sì, non so più che scongiuri fare! Tre mesi fa, a Roma, si fece questa serata importantissima in onore di Arigliano, e mi hanno chiamato a partecipare, presentandomi come l’unico –o uno dei pochissimi- suoi autori rimasti in vita.

Concludiamo con un pensiero per la sua Trivigno.

Trivigno per me è l’isola verde della mia infanzia. Adesso possono fare qualunque cosa, ma io sono legato a questi luoghi in cui ho vissuto la mia prima stagione, in cui sono stato bambino, bambino e un po’ poeta, e un po’ musicista. Quelle esperienze me le sono portate dietro tutta la vita, e per tutta la vita ho sognato il ritorno. Oggi sogno una Trivigno di persone che non facciano i propri interessi, o della propria parte; di persone interessate veramente a farla rifiorire, a farla rinascere, dando qualcosa di sé per questo nostro paese.

(articolo pubblicato su Controsenso Basilicata del 21-11-2015)

caporale


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