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Dai tempi di “Bella Ciao” alla pizzica “da discoteca”: la versione di Giovanna Marini. L’INTERVISTA

mariniCantautrice, ricercatrice e insegnante, fresca ottantenne, ha pochi rivali nei meriti acquisiti sul campo, con un’intera vita passata a ricercare, studiare, riproporre e “reinventare” il canto popolare italiano. Abbiamo intervistato Giovanna Marini nel corso di una puntata de “I Viaggi di Gulliver”, andata in onda –come ogni lunedì sera- su Radio Potenza Centrale. Nella lunghissima conversazione, di cui riproponiamo alcuni brevi passaggi, si è parlato delle origini del “Folk Revival” italiano (i tempi del Nuovo Canzoniere Italiano e anche prima) e delle controverse connotazioni che esso può assumere al giorno d’oggi.

«La ricerca –ha spiegato la professoressa Marini– è cominciata molto prima di quanto si creda, ovvero quando Alan Lomax venne in Italia e si unì a Diego Carpitella, bravissimo etno-musicologo, appassionato di cose popolari: era il 1954. Già allora ci fu un piccolo risveglio di alcuni intellettuali torinesi, che erano avanzati su questo cammino. (…) Dopodiché la cosa arrivò a Milano, alla Biblioteca Feltrinelli, dove c’era Gianni Bosio (non ricordo se proprio ci lavorasse, ma era amico di Giangiacomo Feltrinelli), uno storico e intellettuale, e a Roberto Leydi, giornalista dell’Espresso. (…) Tuttavia, quando me ne parlò Pasolini – era non oltre il ’60- mi disse che stavano pubblicando un disco, “Canti del lavoro”, con questa Giovanna Daffini -che era un mondina, magnifica portatrice di storia, che cantava i canti delle mondine – e  mi consigliò anche di andare a sentire cosa facessero. Io effettivamente loro li incontrai solo nel ‘63, quando trovai già una riunione a casa di Roberto Leydi, a Milano, con Ernesto De Martino, Carpitella, Bosio… tutti gli appassionati di questo argomento. Lì cominciò tutto, certamente con un senso, nostro, “di privilegio”, cioè di avere in mano una cosa preziosa, anche perché nel ventennio fascista questi canti non si erano mai sentiti. Le nuove generazioni non li conoscevano proprio, erano canti dimenticati. Quando, noi del Nuovo Canzoniere Italiano, li portammo nel ’64 a Spoleto, infatti, fecero scandalo, perché ci rendemmo conto che Spoleto aveva un pubblico di cultura dominante e si seccò molto di sentirsi dire cose come «Noi dormiamo nella paglia, moriamo nel fieno, traditori Signori Ufficiali» … quando mai si diceva così!!! Anche perché gli ufficiali della guerra del 15-18 erano considerati degli eroi. Ci fu lo scandalo, dunque. (…) C’era ancora questo clima di “alternativo”, quindi, ma pian piano è andato scomparendo. Il nostro Gianni Bosio, che era geniale ed intelligente (…) fece degli approcci con il mondo della canzone (…) così partì Anna Identici, che era molto brava ed intonata (…) Gianni, insomma, quelle canzoni cercò in qualche modo di salvarle: tanto salvate non furono, ma non importa. Certi canti, se lei vede l’ultimo spettacolo con le canzoni di Bella Ciao, sono stati riarmonizzati in chiave moderna. Certamente, noi non li riconosciamo molto, per me è stata una spina nel cuore sentirli così, ma capisco che non è grave, è una cosa che deve accadere e non ci si oppone rispetto a quello che deve accadere. In questi canti, i testi e le musiche sono così belli e così forti che reggono a ogni manomissione che subiscono>>. (…)

E la commistione fra pizzica e altri generi musicali, come ne i Sud Sound System?

<<Dunque, questa cosa mi irrita, non ho capito perché; ma mi pare che, perlomeno, si debba fare un accenno storico al fatto che esisteva la pizzica, la taranta, che Stifani (Luigi, barbiere violinista, celebre protagonista de “La terra del rimorso” di Ernesto De Martino -ndr) –ed è fondamentale- suonava con un violino, un tamburello e non c’era altro. Lui andava presso i malati e faceva la “diagnosi”, una cosa che ci raccontò lui prima di morire, in un viaggio che feci lì in Salento con i miei allievi negli anni ’90. Ci spiegò che quando il malato non reagiva alle sue tre forme di pizzica –l’indiavolata, la triste etc.- lui diceva «Questo malato non è per me, portatelo all’ospedale». Da qui oggi si è arrivati alle pizziche che si ballano nelle disco music! Non lo so, ma era più interessante soffermare l’interesse sulla provenienza reale di queste musiche, che poi non erano neanche cantate, solo suonate. È interessante adesso vederla nel suo insieme, ma, senza diventare giudicanti, non mi pare interessante vederla ballare, poiché pare che non abbiano neanche colto il ritmo, ne fanno un “salterello”. Che facciano pure il “salterello”, anche se lo chiamano “pizzica”. Tuttavia, sarebbe bello capire cosa ne è stato della pizzica; ad un mio studente, consiglierei di fare una tesi sulla trasformazione della pizzica in salterello».

Walter De Stradis


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